domenica 20 aprile 2014

Professione “cool hunter”: come far nascere una moda e farne un business



se Il Diavolo veste Prada qualcosa ci ha insegnato (come mostra il video sopra), ormai tutti dovremmo sapere che anche dietro il vestito più “insignificante” c’è un mondo complesso fatto di figure dai nomi strani: cool huntertrend setter, fashion designer,influencer. Per arrivare a quel golfino, a quel colore, a quei bottoni imbottiti, hanno lavorato centinaia di migliaia di persone. E non solo per produrlo, ma anche per pensarlo.
Ma come si è arrivati a quello scaffale del grande magazzino?Qual è il processo che porta alla creazione di una moda? E perché viene improvvisamente voglia di infilarsi dei jeans scampanati che avevamo dimenticato sul fondo dell’armadio mentre indossavamo fieri attillati pantaloni a sigaretta? Niente è lasciato al caso. La moda è «una delle forme tipiche del comportamento collettivo». Ci sono oggetti che diventano “di moda”, altri che non lo diventano. «È un sistema culturale di significati», secondo Roland Barthes. Basta saperli cogliere.
A questo pensano i cool hunter, in italiano “cacciatori di tendenze”, o meglio “cacciatori di coolness. Serena Sala fa questo lavoro da molti anni per uno studio internazionale e insegna ai ragazzi come diventare “cacciatori di coolness” nel Workshop di Cool Hunter all’Istituto Europeo di Design (IED). «Si parte dai desideri, dai bisogni, da qualcosa che non esiste. Il cool hunter ti dice quello che vuoi, traduce qualcosa che non sai dire a parole in qualcosa di tangibile», spiega. 
Partiamo dal principio. Cos’è una tendenza nella moda?
La tendenza è un’ipotesi creativa. Niente di consolidato o di tangibile. È qualcosa su cui si può lavorare e a cui si può dare forma. Nasce da desideri e bisogni; è qualcosa che non c’è a cui viene dato corpo. 
Chi crea la tendenza?
Alla base della creazione di una tendenza ci sono individui che indossano particolari accessori, fanno abbinamenti nuovi, scelgono colori insoliti. Questi individui vengono chiamati influencer. Per essere un influencer non basta svegliarsi la mattina e vestirsi in maniera strana. Dietro una determinata realizzazione ci deve essere un’idea, un progetto, la traduzione di un concetto più ampio.
Prendiamo i teen ager, che vivono una fase della vita in cui non si trova un posto nel mondo, in cui si vuole essere accettati dagli amici. In questa fascia d’età capita che si frequentano alcuni amici e ci si veste in un modo, se ne frequentano altri e ci si veste in un altro. Ma ci sono altri che invece sviluppano una propria identità separata e dicono: “Mi vesto così”. Dietro questa scelta c’è un progetto, un’idea, un determinato tipo di musica o un particolare stile cinematografico. Questo si traduce esteriormente in un modo di vestirsi.
Chi è un influencer?
Chiunque può essere influencer. Un musicista, un artista. Lo può fare chiunque purché dietro ci sia un’idea. Non è che se un giorno mi vesto verde con i pois faccio una moda, è un gesto artistico ma non è una moda. E poi ci sono alcuni fashion designer, che con il loro lavoro influenzano più di altri. 
Qual è il passaggio successivo?
L’influencer è tale perché è in grado di provocare una reazione nelle persone intorno a lui, anche negativa. Non è una persona che passa inosservata. È una persona che causa una reazione tra le persone con le quali interagisce, ad esempio pubblicando un video su Youtube.
Le persone che per prime reagiscono a questa novità sono dettiearly adopter, gli utenti precoci che adottano per primi una novità. Attenzione, qui non si parla ancora di moda. La moda è un gusto condiviso, qui siamo molto prima. 
Come fanno questi segnali a salire alla ribalta?
C’è chi reagisce ai segnali degli influencer e se ne fa portavoce. Prendiamo che in un certo periodo c’è una serie di film che tratta di paesini sperduti di montagna e che uno di questi film vince al Festival di Venezia. La tendenza iniziale arriva così ai cosiddetti opinion leader, ai trendsetter o ai festival. In questo modo la portata del segnale iniziale viene allargata.
Quindi è un processo che parte dal basso: non sono le aziende a decidere cosa va di moda?
Sì, è un processo che parte dal basso e che poi viene reinterpretato. Nella maggior parte dei casi, questi segnali iniziali, quando diventano una moda vera e propria non sono più neanche riconoscibili rispetto all’origine. 
Come finisce una moda?
Alla fine ci sono i late adopter: chi diceva che non averebbe indossato mai una cosa e magari lo fa quando quella moda sta per finire. Come quelli che si sono sempre rifiutati di indossare i pantaloni a vita bassa, per intenderci, e alla fine lo hanno fatto. Questa è la curva di vita del processo di formazione e di fine di una moda. È un processo ciclico a stadi diversi, dall’origine fino agli scaffali della grande distribuzione.



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