lunedì 19 maggio 2014

Come le nevi di un anno fa. Capitolo III. Come l'amore rosso



Il 2012 doveva essere l'anno della fine del mondo. Il mondo non finì, ma cambiò. Soprattutto in peggio e soprattutto per me. Fu in quell'anno infatti che io e Vittoria ci lasciammo, dopo una storia che era durata tre anni. Una storia di vero amore.
Alcuni di voi potranno dire che io sono comunque un privilegiato, avendo conosciuto, anche se solo per un breve periodo, il vero amore.
Non so. L'unica cosa che so è che la felicità passata non è più felicità (è nostalgia), mentre il dolore passato è ancora dolore (una ferita che non chiuderà mai).



Qualcuno mi potrebbe chiedere cosa intendo per "vero amore".
Se diamo al termine "amore" una definizione ampia, cioè diciamo di amare qualcuno se la sua mancanza o lontananza ci fa soffrire (attenzione, il "voler bene" è un'altra cosa e Catullo l'aveva già dimostrato più di duemila anni fa), allora il "vero amore" è quello che proviamo per la persona che consideriamo la nostra anima gemella e con cui vorremmo vivere tutta la vita e possibilmente sposarci e creare una famiglia.
Tra me e Vittoria doveva andare così, e c'è stato un momento in cui sembrava che quella felicità fosse a portata di mano. Poi però sono intervenuti degli eventi così strani e sotto certi aspetti così terribili da mandare in rovina ogni nostro sogno.



Quando la storia finì, potevo dire, senza esagerare, che avevo avuto e perduto tutto ciò che un uomo poteva avere e perdere, nella vita.
Ne era valsa la pena? Voglio dire: vale la pena avere tutto e perderlo? Non è forse più grande e duraturo il dolore della perdita, rispetto a quello del piacere.
Plaisir d'amour ne dure ch'un moment, chagrin d'amour dure toute le vie.
La mia conclusione era sempre la stessa: la felicità passata non è più felicità, il dolore passato è ancora dolore.
Se mi chiedessero di esprimere con un colore il mio stato d'animo quando ero con lei, sicuramente risponderei che era "come l'amore, rosso".



































E lei era bianca ed effimera, come le nevi di un anno fa.
Passata, andata via per sempre. Viva, ma troppo diversa. Morta per me, morta per la storia, morta per memoria.
Grigio era stato il mio stato d'animo da allora, dopo di lei, senza di lei.
Tra me e Vittoria ci fu tutto ciò che si può desiderate: un incontro che fu un "colpo di fulmine", un innamoramento di quelli che ti tolgono il sonno e la fame (l'unica fame che avevo era quella di stare con lei), una passione travolgente e sfrenata, rossa come il fuoco, fino ad arrivare ad una simbiosi totale, ad un completamento reciproco, che faceva di noi una cosa sola e una persona sola.




Ci fu, naturalmente, anche la tenerezza, per quanto Vittoria non fosse di carattere tenero, almeno non in apparenza.
Era una ragazza dalla personalità fortissima, molto ironica, molto acuta, molto intuitiva. Aveva una volontà ferrea e una notevole capacità di far valere le proprie opinioni e le proprie ragioni.
Aveva infiniti interessi di ogni genere, che la rendevano affascinante e attraente, andando ben oltre il puro aspetto fisico, che comunque era sempre curato al massimo.
Tutte queste doti furono nel contempo il suo massimo pregio e la sua rovina.



Certo, quando voleva, sapeva essere dolce e tenera, persino comprensiva.
Ma il più delle volte non era così.
Il suo carattere era sanguigno, era tenace, era passionale come quello di una danzatrice di flamenco.




Insomma, lei mi completava, mi dava quell'energia, quella vitalità, quella giovinezza che io, a 38 anni, sentivo scivolarmi via dalle mani.
Lei era più giovane di me di quindici anni.
Quando se ne andò, è come se mi avesse portato via tutta la foga giovanile di quegli anni. Se mi chiedessero: cosa ti manca di più di lei? Risponderei, quasi retoricamente: "Che cosa?! La giovinezza! La giovinezza che se ne va come acqua sulla sabbia, come l'ultima marea andata insieme col sole".

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