sabato 12 novembre 2016

Storia della Union Jack, la bandiera britannica del Regno Unito

Teaching culture from the English speaking countries. History of the Union Jack Flag.:

"La Corona deve vincere". Recensione di "The Crown", la storia di Elisabetta II, che rinunciò alla propria umanità in nome del primato della monarchia

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La serie televisiva "The Crown", trasmessa su Netflix, è senza ombra di dubbio un capolavoro, sia sotto il profilo artistico, sia dal punto di vista storico, sia infine per quel che riguarda il lato umano dei singoli personaggi, a partire, naturalmente dalla protagonista, la regina Elisabetta II del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e di tutti i paesi del Commonwealth della Corona, una corona pesante, che la sovrana porta ormai da oltre 64 anni, più della trisavola regina Vittoria e molto più della prima Elisabetta, la regina vergine della famiglia Tudor.
Ma se Elisabetta II Windsor, coniugata Mountbatten, Dei Gratia Britanniae Regina et Fidei Defensor, è la protagonista della serie, gli altri membri della famiglia non sono da meno, in particolare sua sorella Margaret (che spesso le ruba la scena, grazie all'eccellente interpretazione di Vanessa Kirby), ma anche suo marito Filippo, suo zio Edoardo VIII (la cui abdicazione cambiò radicalmente la vita di tutti gli altri membri della famiglia), sua madre Elizabeth, suo padre Giorgio VI e sua nonna Mary, per non parlare dei grandi uomini politici dell'epoca, in particolare Winston Churchill ed Anthony Eden.
Ciò che separa Elisabetta da tutti gli altri è riassumibile in una frase che, poco dopo essere diventata regina, le viene detta dall'anziana nonna, la regina Mary (ultima rimanenza dell'età vittoriana): "Oggi tu non piangerai solo la morte di tuo padre, ma anche quella di Elisabetta Mountbatten, che oggi muore per cedere il posto alla regina Elisabetta. 
Le due Elisabetta saranno sempre in conflitto tra loro. Il fatto è che in questo conflitto la Corona deve vincere. Deve sempre vincere".
Questa è la frase più importante di tutta la serie, quella che ci permette di capire realmente chi sia Elisabetta II e perché ci appaia così distante e fredda, quasi disumana, nella sua eterna compostezza.
 Il punto è che, a differenza di tutti gli altri membri della famiglia, Elisabetta dovrà sempre anteporre gli interessi dell'istituzione monarchica della Corona a qualsiasi altra considerazione di carattere personale, compresi gli affetti di famiglia e le sue stesse esigenze personali di donna, di moglie, di madre e di sorella.

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Fin dai primissimi anni di regno (la prima serie, di dieci puntate, copre il periodo di regno tra il 1952 e il 1956), Elisabetta sarà chiamata a prendere una serie di decisioni che se da un lato consolideranno il prestigio, la dignità e la popolarità della Monarchia britannica, dall'altro le procureranno il risentimento più o meno profondo, degli altri membri della famiglia. Un risentimento pubblicamente mascherato, certo, ma per chi guarda questa serie col senno di poi, riconosce in nuce tutti quegli elementi che porteranno le tensioni per troppo tempo sopite, ad esplodere molti decenni dopo in quelli che saranno gli infiniti scandali della dinastia Windsor, Scandali dai quali però, possiamo ben dirlo, Elisabetta, in quanto regina, uscirà sempre a testa alta, pur pagando umanamente un prezzo altissimo.
La famiglia Windsor ha rischiato di disintegrarsi, ma Elisabetta, come una calamita, ha saputo creare intorno a sé un campo magnetico in grado di evitare la dispersione della dinastia.
Lo ha fatto con severità, a costo di sembrare antipatica persino ai suoi stessi figli, nipoti e pronipoti, come successe alla regina Vittoria.
Eppure così facendo, Elisabetta ha salvato non solo la dinastia Windsor dall'onta degli scandali, ma anche la stessa istituzione monarchica dal rischio del rovesciamento, in momenti di grave crisi politica, tenendo sempre come punto di riferimento le parole della regina Mary: la Corona deve vincere. Deve sempre vincere.

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Questo è il mantra implicito in tutte le scelte che porteranno la regina a trasformarsi da una giovane moglie e madre felice, ad una donna sostanzialmente sola, che, a differenza degli altri membri della famiglia reale, tutti più o meno mondani e spendaccioni, si concede come unici svaghi la passione per i cani e per i cavalli, e le passeggiate nelle sue residenze di campagna.
Indubbiamente, se si considerano le tragedie familiari che segnano la dinastia Windsor, la figura di Elisabetta II può apparire come quella di una donna sempre più fredda, distante, imperturbabile e inflessibile di fronte alle fragilità di ognuno dei suoi parenti.
Fragile era suo padre, Giorgio VI, timidissimo e balbuziente. Fragile era suo zio, Edoardo VIII, che ebbe bisogno, per sentirsi al sicuro, di appoggiarsi ad una donna carismatica come Wallis Simpson, in cui sostanzialmente trovò quell'approvazione che sua madre, la gelida regina Mary, gli aveva sempre negato. Fragile era Margaret, che aveva bisogno dell'amore del colonnello Townsend, un uomo maturo e forte, che le dava quella sicurezza venuta meno dopo la morte dell'amatissimo padre "Bertie".
Fragile in fondo era anche la regina madre Elizabeth Bowes-Lyon, rimasta vedova troppo presto, che cerca di fuggire ai ricordi e ai rimpianti lasciando Londra per il remoto castello di Mey, ed indugiando un po' troppo nel vizio dell'alcool. Fragile è il principe Filippo, che si sente svalutato ed emarginato e si vendica con un atteggiamento beffardo e provocatorio, per non parlare delle serate nei circoli riservati. Fragile, lo si incomincia a vedere, è anche il principe Carlo, che risente della mancanza della madre, spesso in viaggio, e sempre impegnata nello svolgimento delle sue mansioni di capo dello stato, e della presenza ingombrante di un padre che sfoga su di lui le proprie frustrazioni, sgridandolo se non riesce ad essere bravo negli sport e chiamandolo, senza troppi riguardi, "una femminuccia".
Chi conosce le vicende della famiglia reale, ritrova qui le radici della triste parabola della principessa Margaret, oscillante tra euforia e depressione, fino all'autodistruzione e alla morte precoce. E anche il doloroso, lunghissimo tormento della regina madre Elizabeth Bowes-Lyon, che assiste a tutti i fallimenti matrimoniali dei figli e dei nipoti, ai numerosi lutti, fino all'ultimo, quello della morte di Margaret, che le fu fatale.
Ma naturalmente, più di ogni altra considerazione, qui si possono già trovare le radici del sostanziale fallimento umano del Principe Carlo e della tragica morte della sua prima moglie, lady Diana Spencer, Principessa di Galles.
Sarebbe fin troppo facile condannare Elisabetta, imputando alla sua insensibilità i tormenti e i fallimenti di gran parte dei suoi più stretti familiari.
Ma quello che la serie "The Crown" vuole farci capire, attraverso un abile ricorso ad un'estetica imponente, ad una colonna sonora di eccezionale potenza, che sottolinea costantemente il "peso" della Corona, è che Elisabetta non aveva realmente altra scelta, perché ogni altra decisione avrebbe inevitabilmente indebolito la credibilità dell'istituzione monarchica di fronte alle forze politiche, religiose e sociali della nazione e anche del contesto internazionale.
Negli Anni Cinquanta Elisabetta non aveva di fronte a sé lo stesso governo e la stessa società che compaiono nel film "The Queen", con Helen Mirren, dove i consigli di Blair la porteranno ad una riforma in senso più popolare e "borghese" dell'istituto monarchico. Questo fu possibile solo negli Anni Novanta e solo col senno di poi, dopo la morte di Diana.
Ma tutto ciò che accadde prima non fu, almeno questa è la tesi della serie tv di Netflix, una inutile crudeltà di una regina che non sapeva amare, ma un drammatico e straziante conflitto che questa regina ebbe la forza di sopportare da sola, in silenzio, poiché il silenzio e la compostezza erano ciò che maggiormente ci si aspettava dalla Corona.

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Ancora una volta è la regina Mary a spiegare ad Elisabetta come funzionano le cose per chi porta la corona sul capo: "Nella nostra monarchia il sovrano deve essere sopra le parti e non deve mai dire niente di più dello stretto indispensabile". Ed Elisabetta le chiede: "Ma non è troppo facile rimanere fermi senza far niente?". E la saggia regina Mary risponde: "Non fare niente è la cosa più difficile, perché è qualcosa di disumano, di contrario alla nostra natura umana".

Ecco, il sacrificio di Elisabetta è precisamente quello della propria umanità.

Molto significativi sono anche i dialoghi con lo zio Edoardo VIII, poi Duca di Windsor, colui che non seppe sopportare il duro peso della corona.
Tra Elisabetta e suo zio Edoardo c'è un rapporto di rivalità, ma anche di profonda comprensione reciproca.
Elisabetta non gli perdona il fatto di aver abdicato, condannando prima suo padre e poi lei ad una vita che non avevano chiesto, poiché avrebbero entrambi preferito rimanere in disparte.
Edoardo non le perdona di aver avuto successo là dove lui ha fallito.
Durante l'incoronazione emerge però una sincera stima: il duca di Windsor spiega come questa giovane ragazza, con la sua compostezza e la sua serietà, sia riuscita a trasformarsi, agli occhi dei comuni mortali. in una dea.
Nello stesso tempo, però, il duca di Windsor, rispondendo a chi gli chiedeva come avesse potuto rinunciare a tutto questo, risponde di avere preferito la felicità.
L'amore che lega Edoardo e Wallis appare molto più forte e passionale di quello tra Elisabetta e Filippo, e se quest'ultimo matrimonio è durato così tanto (l'anno prossimo festeggeranno addirittura il settantesimo anniversario!) il merito va attribuito a lei, che gli ha sempre perdonato sia le intemperanze che le scappatelle.
Manca la passione, e le energie vengono sublimate tutte nella sacralità della Corona, quasi che Elisabetta II, pur sposata, madre, nonna e bisnonna, tendesse ad assomigliare fin troppo alla sua omonima Elisabetta I, che non si sposò mai, arrivando a dichiarare di essere sposata all'Inghilterra.
Nel momento in cui tutto sembra venire meno, verso la fine della decima puntata, Elisabetta telefona al Duca di Windsor, il quale paragona la condizione di re a quella di una creatura mitologica, per metà divina e per metà umana, sempre divisa in due, e per questo, comunque, destinata a dover gestire un conflitto interiore, senza però lasciar trapelare nulla.
Per Edoardo il conflitto è quello tra l'uomo felice in amore e il re fallito, che sente la mancanza del suo regno. Per Elisabetta è l'esatto contrario, ma lei ha saputo dimostrare di avere la forza per mantenersi sempre, eternamente, in equilibrio.