martedì 7 marzo 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 41. Gli anni universitari di Francesco Monterovere

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La generazione che ha avuto vent'anni negli Anni Sessanta del Ventesimo Secolo è stata, sotto molti aspetti, baciata dalla Fortuna.
Dopo un'infanzia che li aveva temprati nei rigori del dopoguerra e nell'ultimo persistere di una tradizione educativa millenaria di stampo patriarcale e conservatore, si erano affacciati all'adolescenza negli anni del Miracolo Economico, ed erano approdati alla giovinezza in un momento in cui c'erano grandi opportunità di lavoro.
Per le generazioni successive avvenne il contrario, e in parte anche perché la generazione di coloro che erano stati giovani negli anni '60 si era presa tutto e aveva lasciato terra bruciata.
Come andarono esattamente le cose per i coetanei di Francesco Monterovere?
Erano divenuti giovani adulti nel periodo in cui nasceva la Società dei Consumi, col suo sottofondo rock e pop proveniente dal mondo anglosassone, allo stesso modo dei film e di tutto un immaginario collettivo che nel giro di pochi anni liquidò come provinciale e grezzo tutto ciò che c'era stato prima.
Di fronte a questo cambio di paradigma, ognuno poteva reagire a modo suo, ma era molto difficile poter resistere alle tentazioni di quel facile paradiso edonistico.
Questa era la situazione generale nel periodo in cui, tra il 1959 e il 1964, Francesco Monterovere fu studente universitario
Si trattava quindi di un periodo antecedente alla Contestazione del 1968, quando ormai Francesco era già divenuto insegnante e quindi era passato "dall'altra parte della cattedra".
Fosse nato qualche anno più tardi, la probabilità di diventare un perfetto sessantottino sarebbe stata molto elevata. Per sua fortuna non fu così.
Era un ribelle, sicuramente, ed era pieno di sogni e di desideri, ma non fu mai (e questo gli fa onore) uno schiavo delle mode consumiste che in quegli anni conquistavano il popolo italiano con molta più efficacia di un'invasione militare.
Bastano alcuni esempi per rendere l'idea.
Conosceva la musica leggera, ne apprezzava alcuni interpreti a lui coetanei, ma prediligeva la musica classica, appresa negli anni in cui aveva studiato il pianoforte.
Grazie ad una certa Leonia Lanni, cugina di sua madre, che lavorava in teatro, Francesco aveva i biglietti gratis, in un periodo in cui i teatri erano ormai semi-deserti, e questo gli permise di assistere alle performance di grandi attori e alla rappresentazione di opere liriche, e pertanto, in seguito, di avvicinarsi al cinema con una maggiore attenzione verso i film qualitativamente più interessanti.
Si portava dietro il fratello Lorenzo e poi, finito lo spettacolo, cenavano dalla zia Anita, con cui commentavano con spirito critico le varie rappresentazioni.
Il salotto di Anita Monterovere era un centro culturale rilevante, nella Faenza di quegli anni, dove si incontravano relitti del passato ancora intrisi delle emozioni della Belle Epoque e giovani promesse proiettate verso la Contestazione, forti delle letture degli Esistenzialisti e della Scuola di Francorforte.
Quando, molto tempo dopo, Francesco Monterovere creò, insieme alla futura moglie Silvia Ricci-Orsini, un Salotto ancora più brillante, nella vicina Forlì, la vecchia zia Anita se ne ebbe a male, sentendosi completamente surclassata, superata e datata, e ne diede la colpa alla giovane sposa del nipote e alla sua onnipresente e aristocratica famiglia.
Si stavano creando, senza che nessuno potesse anche solo immaginarlo nelle fantasie più sfrenate, le premesse di quello che sarebbe stato un poema tragicomico dagli esiti esplosivi.
Ma non dobbiamo precorrere i tempi: all'epoca Francesco non era ancora pronto per innamorarsi, ma già stava sperimentando i rapporti con il gentil sesso, se ci è consentito usare ancora questa formula che oggi può apparire desueta e persino politicamente scorretta.
Con qualche soldo che gli veniva passato sottobanco dalla nonna paterna Eleonora e dal nonno materno, l'ingegner Lanni, Francesco aveva potuto permettersi una iniziazione al sesso presso discrete "signorine" di Bologna che, dopo l'approvazione della Legge Merlin (1958) che chiudeva le case di appuntamento, si erano messe ad esercitare la professione di "massaggiatrici" in proprio.
E qui vale la pena raccontare una curiosa circostanza, riguardante una di queste gentili ragazze bolognesi che, pur avendo grandi aspirazioni per il futuro, dovevano cercare di arrotondare qualche spicciolo per il presente. Si faceva chiamare Roberta, ma era il suo secondo nome. Per vie traverse Francesco apprese poi il nome vero e completo, Raffaella Pelloni. 
Pochi anni dopo, con grande sconcerto, la vide riapparire in televisione con i capelli biondi a caschetto e col cognome d'arte di Carrà.
E che questo rimanga fra noi!
Tra i compagni di studi, presso la facoltà di Matematica e Fisica, aveva fatto amicizia con due fratelli, Ruggero e Claudio Rossi, con cui condivise le esperienze goliardiche tipiche degli studenti fuori sede a Bologna.
Essendo pendolare tra Faenza e Bologna, non poté assistere a tutte le lezioni, né partecipare alla vita notturna, a meno che qualche amico non lo ospitasse, ma ebbe il vantaggio che gli derivava dalla capacità di prepararsi in pochi giorni per gli esami, con ottimo esito, lasciandogli molto tempo libero.
Superata la fase della ribellione fine a sé stessa, si taglio i capelli proprio quando gli altri incominciavano a farseli crescere.
Attraversò, come tutti i ventenni dotati di una certa intelligenza e sensibilità. un periodo di crisi interiore, fatta di dubbi e ripensamenti, dalla quale uscì rafforzato e pronto ad affrontare la laurea e il mondo del lavoro.

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