lunedì 1 gennaio 2018

Vite quasi parallele. Capitolo.97 La brace dei Monterovere

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Il "patriarca" Romano Monterovere aveva compiuto 95 anni il 15 febbraio del 2006.
Le sue condizioni di salute erano ormai gravemente compromesse: era in atto un edema polmonare che lo aveva costretto al ricovero al reparto di terapia intensiva di una clinica privata nella quale era solito recarsi alla ricerca di soluzioni che potessero prolungare il più possibile la sua vita.
Ma sapeva anche lui che questa vita era giunta al crepuscolo.
Ogni giorno gli prelevavano l'acqua dai polmoni con un ago, e non era certo una pratica che potesse durare all'infinito.
L'edema stava affaticando tutti gli altri organi e mostrava i segni di degenerazione in enfisema, con tutti i gravi problemi respiratori che ne sarebbero conseguiti.
A metà marzo, in mancanza di segni di miglioramento e con una prognosi negativa, Romano incominciò a sentire "il tedio della fuga e della vita", come Cicerone quando si lasciò catturare dai sicari di Marco Antonio.
La sua vita era stata lunga e intensa, ma segnata dalla perdita prematura dell'amata moglie e dai rapporti difficili con i figli e i nipoti.
Alla fine i momenti felici, quelli da salvare e da ricordare nell'ora in cui si avvicinava il trapasso, erano davvero pochi.
Cercò di enumerarli e di riviverli.
Il volto di Giulia il giorno del loro matrimonio, l'azzurro dell'oceano nel Golfo di Aden, ai tempi della guerra di Abissinia, e prima ancora il profumo dei boschi che circondavano l'antico borgo Monterovere, vicino al quale aveva trascorso la sua infanzia.
A quei tempi il castello era perduto da generazioni e mai avrebbe immaginato che suo figlio Lorenzo, quello che aveva praticamente cacciato di casa, avrebbe avuto tanto successo da poterselo ricomprare.
Ma era stato un atto di vanità.
A Romano non importava nulla del castello: era cresciuto felice nella fattoria dei suoi genitori, ascoltando le storie di suo nonno Ferdinando, che a novant'anni andava ancora a cavallo per i boschi.
Ricordava le notti d'inverno trascorse attorno al camino, mentre il nonno raccontava le leggende sugli elfi dei boschi e sulle fate dei ruscelli, quando c'erano ancora i druidi gallici e l'Antica Quercia si ergeva maestosa nel luogo che, dopo il suo abbattimento per ordine dell'imperatore romano Teodosio, era stato soprannominato cupamente "l'Orma del Diavolo".

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Ferdinando andava avanti per ore, fino a quando la brace del camino non era consumata e i nipoti si erano addormentati.
Ripensando a quelle serate della sua infanzia, Romano si accorse di non essere mai stato più così completamente e serenamente felice: era piccolo ed era povero, eppure quei momenti di magia e di calore erano stati quanto di meglio avesse avuto dalla vita.
Romano aveva provato molto dolore quando il vecchio era morto, disarcionato dal cavallo proprio nei pressi dell'Orma del Diavolo.
Lui fu un bravo nonno. Io non lo sono stato, né sono stato un buon padre. Nessuno piangerà al mio funerale.
Quando subentrò l'enfisema, l'ossigenazione tramite maschera non fu più sufficiente.
Occorreva intubarlo dal naso, passando per le corde vocali fino ad arrivare ai polmoni.
Fece venire un prete per la confessione e l'estrema unzione.
Poi si preparò all'ultimo atto.
Al suo capezzale c'erano solo la figlia Enrichetta e il fratello Edoardo, destinato a diventare l'ultimo dei Fratelli Monterovere, fondatori dell'omonima Azienda, ormai controllata dalla famiglia Bassi-Pallai.
Prima che lo intubassero, volle sussurrare le sue ultime parole:
<<La parte migliore di me è morta con la mia povera Giulia, trent'anni fa. 
Ora è soltanto la parte peggiore quella che sta morendo. 
Sono stato troppo duro con Francesco e Lorenzo: pregate loro di perdonarmi. 
Grazie, Enrichetta ed Edoardo, per avermi sopportato fino all'ultimo>>
Poi fece cenno agli infermieri procedessero con l'intubazione.
Entrò in coma poco dopo.
L'enfisema si aggravò e subentrò il blocco renale.
Romano Monterovere morì il 20 marzo 2006.
Al suo funerale parteciparono tutti i parenti.
Ormai le uniche occasioni di ritrovo erano quelle, insieme ai matrimoni, ai battesimi e alle cresime.
Riccardo tornò da Bologna per partecipare alle esequie insieme allo zio Lorenzo, il grande accademico, che non vedeva il padre da anni.
Guidava Lorenzo:
<<Vedo che con Latino non sei partito proprio col piede giusto, dico bene?>>
Riccardo temeva di aver dato a suo zio una grande delusione.
<<Mi dispiace. La prossima volta mi preparerò meglio>>
Lorenzo sorrise:
<<Non preoccuparti. Anch'io sono stato bocciato, la prima volta. E sai cosa ti dico? Il fallimento è il più grande maestro>>
Riccardo sorrise a sua volta:
<<Nel qual caso dovrebbero darmi una laurea ad honorem in fallimenti>>
Lo zio allora si rivolse a lui in tono serio:
<<Tu sei l'ultimo dei Monterovere. L'ultimo erede maschio della famiglia. So che sei più legato alla famiglia di tua madre, il grande clan Ricci-Orsini, ma ora che Romano è morto, è tempo che ti prepari al tuo ruolo. Se ti mostrerai all'altezza delle grandi aspettative che nutro nei tuoi confronti, potrai diventare l'erede del mio patrimonio, compreso il castello di Monterovere Boica>>
La cosa spaventava un po' il nipote:
<<Io ti ringrazio per la fiducia, zio. Ma temo che non potrò mai guadagnare a sufficienza per potermi permettere la manutenzione di un castello così antico. A dire il vero non so nemmeno come tu ci riesca>>
Lorenzo assunse un'espressione da vecchia volpe astuta:
<<Un giorno avrai tutte le risposte. Ma per ora ti basti sapere che io non sono solo un docente universitario. Ricopro altri incarichi, meno noti, ma più remunerativi e decisamente più interessanti>>
Riccardo ebbe un brutto presentimento: gli sembrava di essere come Anakin Skywalker nel momento in cui il cancelliere Palpatine gli pone la fatidica domanda su Darth Plagueis il Saggio.
Lorenzo rappresentava il Lato Oscuro della famiglia Monterovere e Riccardo ne aveva paura.