domenica 7 gennaio 2018

Vite quasi parallele. Capitolo 99. La trasformazione del Salotto di Silvia Ricci-Orsini e Francesco Monterovere

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C'era stato un tempo in cui il Salotto Buono di Silvia Ricci-Orsini e Francesco Monterovere era il principale "cenacolo" e centro di ritrovo degli intellettuali forlivesi. 
Non che avere il primato a Forlì fosse poi gran cosa, ma come diceva Giulio Cesare (e Silvia ripeteva sempre): <<Preferisco essere primo in un paese, piuttosto che secondo a Roma>> ("Malo hic esse primus quam Romae secundus", come riporta Plutarco nelle Vite Parallele).
Questo primato era comunque destinato a declinare col tempo, in seguito ad una serie di eventi sfavorevoli.
Il primo durissimo colpo era avvenuto quando Ettore Ricci, il padre di Silvia,  era stato travolto dagli scandali e dai processi
Si era in piena Tangentopoli, per cui, pur essendo Ettore innocente riguardo alle accuse più gravi,  l'ala manettara dell'elite benpensante prese subito le distanze in maniera drastica da sua figlia e suo genero.
Fu una diaspora notevole, perché riguardò gran parte di coloro che, atteggiandosi all'oraziano integer vitae scelerisque purus, tenevano sermoni sulla "questione morale", pur avendo, da parte loro, la coscienza non del tutto limpida.
C'erano comunque alcuni colleghi, amici e parenti che non se la sentirono di voltare la faccia a Silvia Monterovere e a suo marito, "il Professore", della cui onestà nessuno avrebbe mai potuto dubitare.
Fino a quel momento il Salotto Buono non aveva avuto "colorazioni" politiche ufficiali di alcun tipo, anzi, Silvia aveva fatto in modo che non si toccasse mai apertamente un argomento così divisivo, ma di fronte alla crisi della Prima Repubblica, gli animi si erano inaspriti e la neutralità era sempre più difficile da mantenere e guardata con sospetto.
Di fatto il  Salotto era "bipartisan", nel senso che mentre i Ricci-Orsini erano storicamente di destra, i Monterovere erano per lo più di sinistra, e in particolare lo era l'onorevole pidiessino Edoardo Monterovere, zio di Francesco, così come anche suo fratello, l'insigne accademico Lorenzo.
Quando Berlusconi scese in politica, mantenersi neutrali divenne quasi impossibile.
Alcuni notarono che col tempo le convinzioni politiche di Francesco Monterovere erano virate verso destra, avvicinandosi a quelle di sua moglie e di sua suocera.
Questa "conversione" era avvenuta gradualmente, quindi non va intesa come una "folgorazione sulla via di Damasco".
In primo luogo Francesco non aveva rinnovato la tessera della CGIL, perché non condivideva l'eccesso di scioperi di natura puramente politica e il velleitarismo di numerose iniziative.
Poi aveva incominciato a criticare l'allora PDS/DS per divergenze riguardo ai cavalli di battaglia della sinistra: le tasse e l'immigrazione.
Queste sue decisioni avevano avuto conseguenze pesanti: suo zio Edoardo gli aveva tolto il saluto, suo fratello Lorenzo lo aveva aspramente rimproverato, i suoi colleghi lo avevano radiato dall' "Albo dei Radical-Chic" e persino alcuni suoi amici avevano incominciato a trattarlo con freddezza.
Anche questo ebbe un peso notevole nella crisi del Salotto Buono e col tempo altri "progressisti al caviale" disertarono.
Ma la più grande emorragia avvenne in seguito, in concomitanza col tracollo finanziario del Feudo Orsini e con l'estromissione dei Monterovere dall'Azienda di famiglia e soprattutto, come ciliegina sulla torta, con la fine della carriera bancaria di Riccardo.
Si poteva perdonare tutto, nell'ottica dei salottieri benpensanti, ma la rovina economica assolutamente no.
Fu così che alla fine rimasero soltanto quelli che Shakespeare, nell'Enrico V, chiamava"happy few": <<Voi pochi, voi felici pochi, voi, manipolo di fratelli!>>
Pochi erano senz'altro, ma sembravano tutt'altro che felici.
Si trattava di amici di antichissima data, colleghi anziani, vicini di casa ancora più anziani e parenti che avevano visto fin troppe primavere.
Con l'andare degli anni e l'implacabile incedere della terza età e delle malattie, l'argomento delle conversazioni iniziò pericolosamente a virare su questioni cliniche.
Peraltro i coniugi Monterovere incominciavano ad avere, ahimè, una certa esperienza diretta in questo campo.
Silvia soffriva di una maculopatia degenerativa agli occhi, che le aveva fortemente compromesso la vista, tanto da renderle quasi impossibile la lettura: un durissimo colpo, per una insegnante di lettere.
Paradossalmente sua madre Diana Orsini, novantatreenne, sembrava stare meglio.
Francesco ormai da tempo faceva i conti con gravi malattie cardiache, le stesse che avevano tormentato la sua amata genitrice Giulia, il cui ricordo era rimasto vivo anche dopo tanti anni dalla sua scomparsa.
Fu così che, inevitabilmente, il Salotto incominciò ad attrarre un nuovo tipo di invitati e cioè quella parte di ex studenti di Silvia e Francesco che si erano laureati in Medicina.
Considerando quello che sarebbe accaduto di lì a poco, questa presenza era destinata a diventare sempre più importante, mentre anche tra gli "happy few" incominciavano le defezioni dovute a cause di forza maggiore (decessi o malattie).
In tutto questo panorama, spiccava l'assenza del figlio, di cui ormai gli ospiti non chiedevano più nulla, perché non sta bene nominare la corda in casa dell'impiccato.
In realtà il rapporto tra i genitori e il figlio era ottimo, ma la gente, che quando non sa nulla tende a inventarsi tutto, si era fatta l'idea che l'erede dei Monterovere e dei Ricci-Orsini fosse stato come condannato all'esilio per qualche gravissima colpa.
Processato e condannato in contumacia dalle malelingue forlivesi, Riccardo era intento a "rifarsi una vita" a Bologna, e i suoi genitori lo appoggiavano con grande convinzione, specie ora che sapevano che si era innamorato di una brava ragazza.
I coniugi Monterovere potevano comunque contare sulla presenza costante di due gatti molto speciali, provenienti entrambi dal feudo di Casemurate.
Uno, di nome Maìno, era un affettuosissimo Maine Coon grigio dal pelo lungo e leonino, l'altro, di nome Trito, era tigrato, grosso e sornione, ma aveva un musino dolcissimo, da micino di pochi mesi, e si era affezionato a Francesco in maniera incredibile, tanto da correre sulle sue ginocchia al minimo richiamo.


Come due sfingi o due Lari posti a guardia del focolare domestico, Maìno e Trito sostavano all'ingresso del salotto, quando gli ospiti andavano via e i padroni di casa restavano soli, in silenzio, ad osservare il tramonto dalla terrazza rivolta a occidente e ad ascoltare il canto delle cicale, che producevano, con finissimi sistri d'argento, una nota lunga, ritenuta e profonda, come la cognizione del dolore.